PEREQUAZIONE – La Giurisprudenza Contabile della Regione Puglia
La vigenza nell’ordinamento di un principio di un automatico collegamento della misura delle pensioni al trattamento retributivo del personale in servizio è vicenda dibattuta. Il suddetto principio non è, in effetti, contenuto in alcuna espressa disposizione legislativa che lo sancisca in termini generali, ma viene di volta in volta invocato quando si ponga per una categoria di pubblici dipendenti la necessità di uno speciale adeguamento del trattamento di quiescenza, in relazione ad una dinamica salariale del personale in servizio che venga a discostarsi in misura notevole dai valori economici precedentemente attribuiti e sui quali veniva calcolato il trattamento di quiescenza.
La Corte costituzionale (sent. n. 409 del 1995) ha avuto occasione di affermare che i modi attraverso i quali perseguire l’obiettivo dell’aggiornamento delle pensioni dei pubblici dipendenti possono essere, o la riliquidazione (allineamento delle pensioni al trattamento di attività di servizio di volta in volta disposto con apposita legge) o, la c.d. “perequazione automatica” consistente in un meccanismo normativamente predeterminato che adegui periodicamente i trattamenti di quiescenza. La giurisprudenza del giudice delle pensioni ha, nel passato, escluso l’esistenza di un principio costituzionale che garantisca il costante adeguamento delle pensioni al successivo trattamento economico dell’attività di servizio, risentendo dell’influenza esercitata in subjecta materia dalle decisioni espresse dalla Corte costituzionale.
La Corte costituzionale, data la natura di retribuzione differita che deve riconoscersi al trattamento pensionistico, ha affermato, con orientamento risalente nel tempo, il principio della proporzionalità della pensione alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché della sua adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia, nel pieno rispetto dell’art. 36 Cost. ( sentenze n. 243 del 1992; n. 96 del 1991; n. 501 del 1988; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980 e n. 124 del 1968 ) e, tuttavia, ha altrettanto costantemente affermato che non esiste un principio costituzionale che possa garantire l’adeguamento costante delle pensioni agli stipendi, spettando alla discrezionalità del legislatore determinare le modalità di attuazione del principio sancito dall’art. 38 Cost. sulla base di un “ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti (…) compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per farvi fronte ai relativi impegni di spesa (sentenza n. 119 del 1991) ma con il limite, comunque, di assicurare “la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona”(sentenza n. 457 del 1998 ). La stessa Corte costituzionale ha, comunque, affermato che l’eventuale verificarsi di un irragionevole scostamento tra i due trattamenti può costituire un indice della non idoneità del meccanismo scelto dal legislatore ad assicurare la sufficienza della pensione in relazione alle esigenze del lavoratore e della sua famiglia (sentenze n. 409 del 1995 e n. 226 del 1993). In quest’ultima pronuncia si riporta l’attenzione del legislatore sulla necessità di sorvegliare l’andamento del fenomeno “al fine di evitare che esso possa pervenire a valori critici tali che potrebbero rendere inevitabile l’intervento correttivo della Corte”. Si tratta di principi che – aggiunge la sentenza – se non richiedono una rigorosa corrispondenza tra contribuzioni e prestazioni previdenziali esigono però un limite di ragionevolezza nel legiferare che sembra nella specie del tutto obliterato, non essendoci più alcuna commisurazione delle pensioni agli stipendi. La Corte dei Conti per la Regione Puglia, con recente sentenza, per le ragioni sopra esposte, non ritenendo di condividere l’orientamento seguito dalla prevalente giurisprudenza delle sezioni giurisdizioni e di appello della Corte dei conti, in applicazione degli articoli 36 e 38 della Costituzione ha ritenuto che debba essere affermato il diritto di un pensionato “alla perequazione del trattamento pensionistico, con aggancio ai miglioramenti economici concessi al personale di pari qualifica ed anzianità in attività di servizio. Ciò, in senso analogo ad altro giudizio nel quale la stessa Amministrazione non aveva esperito appello avverso altra sentenza del medesimo G.U.P., con cui era stato riconosciuto il diritto alla perequazione del trattamento pensionistico.
Orbene, onestà intellettuale impone ribadire che sul punto vi sono linee di pensiero contrapposte.
Ma, non per questo, si può rinunciare a spostare in senso favorevole la giurisprudenza avversa.
Ed è possibile, con un’azione collettiva, dare un chiaro segnale di un profondo malcontento, peraltro, in una stagione in cui si registrano o, provvedimenti che mirano ad imporre tagli alle pensioni o, negati interventi (non ultimo, l’omessa valorizzazione della pensione del periodo prestato durante il blocco retributivo) o, interpretazioni restrittive (come nel caso dell’art. 3. comma 7 del D.Lgs. 165\1997, di cui a breve si parlerà in un prossimo intervento).
Un’unica corale voce che richiami ad una maggiore attenzione su certi provvedimenti penalizzanti e proponga un’azione collettiva giurisdizionale, è la sola arma possibile di ascolto.
Lo Studio, alla luce della decisione in commento, non può certo invitare i pensionati a spostare la residenza nelle Terre di Federico II ma può chiedere in via giurisdizionale che venga riconosciuto – a tutti – il diritto alla perequazione della pensione, facendo leva sui principi espressi dal G.U.P. della Puglia.
A breve lo Studio renderà noto i requisiti nonché le modalità di accesso al servizio di assistenza e tutela legale.
Mario Avv Bacci